Cuore-Mente

Egli si aggira per la stanza come un’anima in pena. Gira e si lamenta, e grida: chè non si è mai sentito così solo, derubato, preso in giro, arrabbiato. Grida verso di lei. Lei che seduta in un angolo, sembra oltrepassarlo con lo sguardo. C’è, ma è come se non ci fosse.
Grida verso di lei dicevo, che non capisce cosa si prova. Perché tanto lei mica sa cosa vuol dir provare?! Lui s'annega orgoglioso nel suo mare di lacrime mentre ancora grida: Il dolore, la vendetta, la nostalgia, la tristezza del domani, l’invidia.
Lei. Seduta nello stesso punto, lo guarda consumarsi. Lo guarda in silenzio, occhi fissi: glaciale con quelle iridi color del cielo rigato di nuvole plumbee. Sembra completamente insensibile al di lui dolore. In realtà lo aspetta. Sa di dovergli concedere tempo, sa che le grida, le lacrime, la confusione, l’incoerenza nel pensiero sono tappe obbligate.
Ad un tratto lui si zittisce e la fissa, come se si fosse accorto solo in quel momento di quella silenziosa presenza. La cerca, e gli occhi si incontrano dentro lo stesso sguardo. Negli occhi azzurri di lei egli si sente stranamente al sicuro.
Lei ricambia lo sguardo, ma ora i suoi occhi non sono più come il ghiaccio, ma virano al verdemare, quel mare calmo e sicuro al mattino.
E’ lei a rompere il silenzio. “Devo mostrarti delle foto. Sono di te qualche tempo fa”.
Lui non capisce a cosa lei si stia riferendo, ma non ha tempo di pensarci perché lei comincia a tirar fuori una polaroid dopo l’altra e a porgergliele. In ogni foto c’è lui: in alcuni scatti è sotto la pioggia e guarda il pavimento, in un altro si strappa le guance, in altre si conficca chiodi nella pelle.  Guardando quelle foto gli tremano le mani, non ricordava di essere stato così mostruoso nell’aspetto in passato, ma la foto è oggettiva, parla chiaro. Lo sconforto cresce. Quello è lui, e quello il suo lugubre destino. Lei continua a passargli le foto, quasi indifferente, e lui ormai preda di questo cattivo pensiero neanche le guarda più.
Poi gli cade in mano una foto: lui che ride di una risata piena, irrefrenabile, contagiosa.
Rimane rapito da quella immagine, non riesce a ricordare la circostanza o il luogo, il motivo di quella risata. Ma riesce anche in quel momento a riassaporare quella sensazione di compiuta felicità.
Lui guarda lei, interrogativo. Lei comprende quali siano i suoi dubbi, e allora fingendo sorpresa sorride e lo incalza: “Ma ancora non hai capito?” Egli le restituisce il sorriso finalmente.
Non ricorda la circostanza di quella felicità perché non importa, doveva solo ricordare che lui è quello della foto, non il mostro delle altre. Importa che quella felicità era vera e potrebbe tornare, importa che egli sa provarla ed esprimere, tra l’altro meglio di lei che intanto se la ride dall'alto delle sue granitiche convinzioni.
Lui riprende: “D’accordo, ma che me ne faccio della felicità, se e quando tornerà, se non ho un altro come me col quale condividerla?” La guarda fissa, come se aspettasse una risposta.
Stavolta lei ricambia lo sguardo in completo silenzio; lui annuisce, perché sono tornati ad intendersi.
Importa che lui sia in grado di provare dei sentimenti.

Poi, a come distribuirli e trovargli degli sbocchi se la vedesse lei, la solita saputella.

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