Incontro al Mare
Mi sfilo una scarpa puntando il tallone, poi l’altra, nello stesso modo. Le prendo in mano e le sbatto una contro l’altra, come a scuotere per scacciare via ogni problema. L’incontro che sto per fare merita tutto lo spazio nella mia mente.
Piede affondato nella sabbia. Il tipico profumo vanigliato della spiaggia si impossessa di ogni millimetro delle mie narici. Il primo contatto è morbido e fresco velluto. Fresco e morbido come i pomeriggi d’estate passati al mare, quando un buco nella sabbia diventava un piccolo mondo da esplorare, e una sfida coi cavalloni una battaglia epica in cui trionfare.
Ancora un passo. Sotto le piante dei piedi ogni granello di sabbia si imprime nella pelle, come tanti piccoli pugnali, come quelle ore stesa a cercare il sole con la faccia tra i gomiti, quando le ombre si allungavano oscurando le mie speranze, quando il sole, quel mio sole che testardamente anelavo, si scaldava per altri panorami.
Avanzo. Le dita si aggrappano alla sabbia umida. Scavo alla ricerca di qualche cosa, ma è solo un delicato risucchiare, un ipnotico movimento che mi trasporta fluttuante ad una notte fuori dal tempo. Là dove si confondono la morsa dell'ignoto con il mistero del piacere, dove i miei desideri prendono forma, dove cullati dal canto del mare, un canto maestoso da fare paura, si attraversano limiti invalicabili e mai più percorribili nel senso opposto.
Colpisco una conchiglia e torno sulla spiaggia. Alzo lo sguardo, e una linea indaco attraversa l’orizzonte e si trascina dietro le nuvole del tramonto. Arriva fino a me, e mi scaraventa verso un sera di maggio. Quando nel pieno della bellezza più fulgida della natura, in un tripudio di precoci profumi e colori estivi, scopro il mio lato oscuro. Le labbra rosse assetate di rivalsa, e lo scroscio del cristallo dei cuori, infranti in un secondo come onde su scogli. E la paura di annegarci dentro quell’oscurità, la fatica, e l’annaspare e l’aggrapparsi l’uno all’altro, e capire di non voler salvarsi da soli, semmai affatto.
Arrivo. Immergo i piedi nell’acqua. Sono limpidi, e bianchi come pietra levigata. L’acqua, calda come le lacrime. Quelle lacrime che purificano e spazzano via la sabbia dal cuore. Mi stenderei sulla riva, e mi lascerei accarezzare senza sosta, fino a profumare di sabbia, fino a diventare lucente come perla, cristallina come acqua; fino a diventare Mare.
(2010)
Piede affondato nella sabbia. Il tipico profumo vanigliato della spiaggia si impossessa di ogni millimetro delle mie narici. Il primo contatto è morbido e fresco velluto. Fresco e morbido come i pomeriggi d’estate passati al mare, quando un buco nella sabbia diventava un piccolo mondo da esplorare, e una sfida coi cavalloni una battaglia epica in cui trionfare.
Ancora un passo. Sotto le piante dei piedi ogni granello di sabbia si imprime nella pelle, come tanti piccoli pugnali, come quelle ore stesa a cercare il sole con la faccia tra i gomiti, quando le ombre si allungavano oscurando le mie speranze, quando il sole, quel mio sole che testardamente anelavo, si scaldava per altri panorami.
Avanzo. Le dita si aggrappano alla sabbia umida. Scavo alla ricerca di qualche cosa, ma è solo un delicato risucchiare, un ipnotico movimento che mi trasporta fluttuante ad una notte fuori dal tempo. Là dove si confondono la morsa dell'ignoto con il mistero del piacere, dove i miei desideri prendono forma, dove cullati dal canto del mare, un canto maestoso da fare paura, si attraversano limiti invalicabili e mai più percorribili nel senso opposto.
Colpisco una conchiglia e torno sulla spiaggia. Alzo lo sguardo, e una linea indaco attraversa l’orizzonte e si trascina dietro le nuvole del tramonto. Arriva fino a me, e mi scaraventa verso un sera di maggio. Quando nel pieno della bellezza più fulgida della natura, in un tripudio di precoci profumi e colori estivi, scopro il mio lato oscuro. Le labbra rosse assetate di rivalsa, e lo scroscio del cristallo dei cuori, infranti in un secondo come onde su scogli. E la paura di annegarci dentro quell’oscurità, la fatica, e l’annaspare e l’aggrapparsi l’uno all’altro, e capire di non voler salvarsi da soli, semmai affatto.
Arrivo. Immergo i piedi nell’acqua. Sono limpidi, e bianchi come pietra levigata. L’acqua, calda come le lacrime. Quelle lacrime che purificano e spazzano via la sabbia dal cuore. Mi stenderei sulla riva, e mi lascerei accarezzare senza sosta, fino a profumare di sabbia, fino a diventare lucente come perla, cristallina come acqua; fino a diventare Mare.
(2010)
Commenti
Mi lusinga ma credo che per scrivere un libro si debba tenere ben presente un punto di approdo, invece io per il momento scrivo spinta dai momenti, e di certo non so dove questo mi porterà! Credo che per il momento preferisco ancora questo modo estemporaneo di raccontare,
E grazie a te e a chi mi legge. :)